All’interno dell’articolo di Carlotta Pavan Sostenibilità urbana: come l’architetto può fare la differenza, il mio contributo.
Maria Cristina, per te l’architettura è una passione prima che un lavoro. Ma che cos’è per te l’architettura? Ci dai una tua definizione?
L’architettura definisce lo spazio, in positivo e in negativo. Mi spiego: la forma che noi costruiamo è fatta di una parte interna ed una esterna. Il dentro riguarda, nel caso della residenza ad esempio, il comfort e la funzionalità del nostro privato. Il fuori rappresenta l’intorno a stretto contatto con la forma della residenza. Tra le parti esiste un legame indissolubile, una relazione di cui si deve sempre tenere conto nella progettazione. Ed è proprio l’idea di creare una simbiosi positiva per le parti che mi spinge sempre verso nuove ricerche.
Qual è la tua mission? Cosa ti ha spinto a svolgere questa professione?
La relazione di cui parlavo poco fa tra la forma progettata e lo spazio esterno ha per me una grande attrazione se parliamo di antico, di architettura storica. In quest’ambito la ricostruzione e l’interpretazione del rapporto tra l’oggetto ed il suo intorno fanno la differenza tra la conservazione del nostro patrimonio e la sua dismissione. Siamo ricchi di storia, arte e cultura e niente è più rappresentativo di questi valori dell’architettura del passato. Inoltre l’educazione al bello attraverso il patrimonio storico artistico costituisce una reale chance di cambiamento per la nostra società. La mia mission è la tutela e la valorizzazione dell’architettura storica agendo con consapevolezza sull’impatto delle costruzioni moderne. Tutelare le costruzioni antiche da un lato e trasformare in modo sostenibile le architetture moderne dall’altro.
Maria Cristina, cosa significa per te parlare di sostenibilità?
Sostenibilità in ambito costruttivo vuol dire ridurre i costi di gestione in termini energetici. A questo proposito il Superbonus 110% ci porta verso edifici meno energivori e un costo sociale inferiore. E il risultato si riversa sulla struttura della società e sulle persone. Sostenibilità significa offrire la trasformazione di edifici con funzioni che rispondano ai bisogni reali (non solo materiali). Composizioni nuove, che tengano in conto anche di problematiche sociali senza però aumentare il consumo del suolo. E questo richiede uno sforzo da parte della nostra categoria per responsabilizzare il cliente verso qualcosa che sia di suo vantaggio, senza depredare l’ambiente.
Abbiamo un consistente patrimonio edilizio dismesso che può essere recuperato e rimesso a servizio della collettività. La cementificazione ha prodotto enormi danni ed ora gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. E per far questo c’è bisogno di una strategia concertata con tutti gli attori.
Ci fai un esempio?
Pensiamo ai nuclei familiari separati e con minori che non raggiungono la soglia di reddito necessaria al sostegno di una abitazione. Come si potrebbe rispondere? Trasformando edifici dismessi (caserme, edifici industriali, casali….) in nuclei residenziali, con taglio piccolo e servizi comuni, da offrire ad un prezzo calmierato. Un’operazione che vede investimenti privati di ristrutturazione a fronte di una temporanea concessione (i famosi 99 anni) da parte dello Stato.
Dalla tua riflessione mi nasce spontanea una domanda. People, Planet, Profit. Come si trova l’equilibrio di queste tre forse in un progetto urbanistico o architettonico?
Sono grandi temi difficili da sintetizzare. In realtà rappresentano una triade che attraverso il progetto subisce un cambio di scala- un po’ quello che succede parlando di un edificio, di un complesso, di un isolato, di una città, di una provincia. Sono delle chiavi che possono assumere valenze diverse a seconda della scala d’intervento. Certamente la progettazione urbanistica rivolta alla composizione della città è quella che meglio può accogliere e valorizzare i tre temi.
Qual è il tuo approccio verso un piano di sviluppo urbanistico sostenibile?
La progettazione urbanistica deve rispondere a delle funzioni, esigenze di contemperamento di spazi diversi, nati in modi e tempi differenti. La pretesa è quella, forse oggi più che mai, di ricucire, riqualificare e riordinare i rapporti tra pieno e vuoto. Accogliere nuove richieste partendo ad esempio da necessità concrete. Vogliamo parlare della pandemia? C’è stato un cambiamento di cui gli spazi dedicati dovranno tener conto. Non servono edifici multilivello con persone che si spostano in continuazione per compiere le proprie attività. Il lavoro da remoto ha richiesto di rivedere gli spazi degli uffici ma anche delle abitazioni, che devono dare la possibilità di svolgere molteplici attività e di conciliare quindi esigenze molto diverse. In primis ovviamente lavoro e vita privata. La sostenibilità si ottiene nel contemperare le funzioni, nel trovare possibilità di convivenza nuove, nel suggerire modelli diversi, con servizi comuni e alloggi privati ad esempio.
E per fare questo anche le attività di cantiere si devono riformulare, spingendo sulla prefabbricazione di elementi costruttivi standardizzabili.
Qual è la tua visione di città per il futuro?
La città si deve necessariamente scindere in pluralità. Questo vale per le metropoli, ma sarà sempre più necessario replicare tanti piccoli centri che ospitano verde e spazi urbani di aggregazione insieme a edifici residenziali e produttivi. Mi viene in mente la scissione della molecola che per crescere scinde e moltiplica. In questa riorganizzazione vedo un’importante opportunità di riequilibrio dei rapporti pensandone di nuovi e avvicinandosi ad esempio a tematiche come il Cohausing.
Tu operi a Roma, un territorio urbano con diverse criticità. Come inserite gli obiettivi legati al benessere delle persone nei vostri lavori?
Il benessere è legato al luogo che accoglie le funzioni che ne hanno generato l’esigenza. Luce colore e funzionalità sono degli elementi determinanti. Ma si deve tener conto anche del bilancio energetico e la ecocompatibilità dei materiali. È necessario trovare il giusto EQUILIBRIO tra i bisogni del singolo e le esigenze della società in modo da creare condizioni ottimali di convivenza.
Lo studio che rappresento punta molto sulla responsabilizzazione del cliente. Lo rendiamo partecipe delle corrette procedure, scoraggiamo posizioni al limite della normativa e lo accompagniamo verso scelte che tengano conto anche del “fuori”, di quello che succede nell’intorno. Il messaggio è sempre la tutela di valori più generali dimostrando che di fatto ci può essere un reciproco vantaggio.